LA PARISINA DI MASCAGNI/D’ANNUNZIO E LA PARISINA DI DONIZETTI/ROMANI – PARTE I
di Marco Polastri Menni (testo della Conferenza del 7/06/2017)
PARTE I: La Parisina di Mascagni/D’Annunzio
- Premessa di ordine generale.
Ho sempre ammirato la grande idea di Plutarco il quale ha presentato i profili di alcuni grandi uomini della storia ponendo a confronto due di essi. Tale impostazione, indubbiamente originale, ha il notevole pregio di evidenziare, proprio grazie al confronto, non solo le diverse caratteristiche psicologiche dei grandi del passato ma anche le diverse modalità con cui, nel differente contesto storico, le tappe difficili della loro vita sono state affrontate.
Proprio per tale ragione ho ritenuto che, in un medesimo soggetto drammatico, la diversa realizzazione del libretto e della musica da parte di autori diversi consenta di valutare con maggiore profondità l’intrinseca drammaturgia del soggetto medesimo. L’interesse quindi al confronto di due opere aventi una medesima trama, ma diversamente descritte e diversamente musicate da grandi artisti, consente uno stimolante parallelismo sia di ordine letterario sia di ordine musicale. La Parisina di Mascagni e quella di Donizetti, grazie anche al valore dei librettisti e non solo dei musicisti, si prestano dunque egregiamente a tale analisi parallela.
- La vera storia di Parisina
Proprio per queste ragioni ritengo indispensabile premettere quale fu la vera vicenda di Parisina, tramandata secondo fonti storiche ad essa contemporanee, pienamente attendibili. Solo infatti confrontando la verità storica con le fantasiose varianti dei due librettisti (nella specie D’Annunzio e Romani) potremo cogliere appieno il diverso risultato artistico che le manipolazioni storiche dei librettisti hanno offerto ai rispettivi musicisti. Nicolò III° d’Este marchese di Ferrara rimasto vedovo della prima moglie sposò in seconde nozze Parisina Malatesta appartenente alla famiglia dei noti signori della terra di Romagna. Nicolò III° fu certamente uno dei più libertini dei vari personaggi storici. Passando in rassegna i più noti fra essi cito Don Giovanni al quale Mozart e Da Ponte attribuiscono ben 2155 amanti. A Mitridate, re del Ponto, gli storici attribuiscono invece 70 figli naturali ed un numero alquanto superiore di concubine.
Nicolò III° occupa dunque un meritato secondo posto in quanto il suo contemporaneo cronista Caleffini attesta che egli ebbe 800 donzelle, mentre Matteo Bandello, dopo avergli attribuito 300 figli, cita il detto popolare ferrarese secondo il quale “al di qua e al di là del Po son tutti figli di Nicolò”. Questo eccessivo numero di figli è alla base del dramma di Parisina la quale si innamorò perdutamente del più bello e del più giovane dei figli illegittimi del proprio marito: Ugo D’Este (Nicolò III° infatti riconobbe quasi tutti i propri figli illegittimi). Ugo era figlio dell’unica donna che Nicolò III amò veramente (e dalla quale ebbe altri figli) e cioè Stella De Tolomei, detta dell’Assassino. Attributo quest’ultimo totalmente ingiusto in quanto Stella De’ Tolomei fu una donna straordinaria, di meravigliosa bellezza, onesta e saggia come di lei ebbe a dire il Papa Pio II°.
La madre di Ugo d’Este fu comunque ricompensata dalla vera storia degli Estensi. Ed infatti Nicolò III° nominò propri eredi in successione fra loro i figli Leonello e Borso avuti dalla relazione con Stella de’ Tolomei e che risultarono fra i migliori esponenti della dinastia per le loro qualità morali. Non sono mai state chiarite dagli storici, e neppure dagli atti del processo intentato da Nicolò III, se l’amore sia scoppiato improvvisamente dopo un periodo di reciproca antipatia oppure se sia stato suscitato in Parisina da un sentimento di ritorsione per l’eccesso di distrazioni coniugali del proprio marito. Il processo accertò che Nicolò III, attraverso una apertura praticata nel pavimento della propria biblioteca, scoprì la relazione incestuosa di Parisina con il proprio figliastro Ugo, e, malgrado le insistenze del suo più fido ministro, fece decapitare i due amanti, inviando, a riprova di quella che egli riteneva una giusta sentenza, tutti gli atti del processo presso le Corti delle Signorie feudali del tempo.
- Parisina nella letteratura e nella musica
Proprio in ragione della notorietà che riscosse l’episodio, una vasta letteratura si formò da subito sulla vicenda degli sventurati amanti. Matteo Bandello racconta la vicenda in una delle sue novelle, il grande storico Edward Gibbon, da par suo, la riferisce ampiamente, e Lord Byron dedicò a Parisina una tragedia in versi avvolgendo nel mistero la fine di Parisina e descrivendo invece la decapitazione di Ugo. Il grandissimo drammaturgo spagnolo Lope De Vega trattò la vicenda mutando unicamente la ambientazione e collocandola in Spagna anziché a Ferrara. Abbiamo inoltre un dramma di Bergman dedicato a Parisina ed infine il libretto di Felice Romani usato da Donizetti e quello di D’Annunzio usato da Mascagni. Una terza opera lirica fu composta dal musicista fiammingo edward Keurvels che non ebbe tuttavia successo.
- La modifica alla vicenda storica introdotta da D’Annunzio nel proprio dramma.
Preliminarmente occorre ricordare che la Parisina fu concepita da D’Annunzio come la seconda tragedia del trittico dedicato alla famiglia Malatesta la cui prima opera Francesca da Rimini fu musicata da Zandonai, mentre la terza, dal titolo Sigismondo, non fu mai composta da D’Annunzio (probabilmente assorbito dalla vicende politiche e militari che lo videro protagonista nella prima guerra mondiale e nell’avventura di Fiume).
La modifica più significativa del dramma musicato da Mascagni D’Annunzio la introduce rendendo la madre di Ugo una protagonista del dramma stesso laddove la sua figura è del tutto assente sia nel dramma di Byron sia negli altri drammi musicati da Donizetti e da Keurvels. La scelta dannunziana è completamente inveritiera dal punto di vista storico in quanto la madre di Ugo fu subito allontanata da corte dopo che Nicolò III aveva sposato Parisina. Inoltre il personaggio viene dipinto da D’Annunzio come una donna malvagia che aizza il figlio a odiare Parisina responsabile del suo allontanamento da corte, e, soprattutto, del proprio mancato matrimonio con Nicolò III nel quale aveva sperato.
Del tutto originale e drammaturgicamente efficace resta comunque la presenza di Stella de’ Tolomei la quale assume il ruolo di una vera protagonista dando luogo ad un dramma a quattro (Ugo, Parisina, Nicolò III e la stessa Stella) che evita così la banalità del triangolo marito-moglie e amante inflazionato, come sappiamo, da un gran numero di films e di commedie. Stella de’ Tolomei risulta, per la fantasia di D’Annunzio, vittima del suo stesso gioco in quanto Ugo, in luogo di odiare Parisina che tanto male aveva fatto alla propria madre, se ne innamora venendo, perciò, condannato a morte nel quarto atto del libretto. Quivi D’Annunzio ci descrive Stella de’ Tolomei che tenta invano di riabbracciare il figlio nella prigione dopo un drammatico colloquio con la un tempo odiata rivale Parisina che le accorda il proprio perdono.
- Le caratteristiche generali dell’arte di D’Annunzio e del libretto della Parisina in particolare
I) Preliminarmente devo ricordare che il grande posto che D’Annunzio occupa nella storia della musica è stato stranamente trascurato dalla critica letteraria che ha spesso confinato l’arte di D’Annunzio in un decadentismo classicheggiante nel quale si alternano pagine retoriche con pagine di autentico lirismo. Viceversa l’importanza della musica per D’Annunzio, presente in numerosi suoi scritti, trovò una importante conferma nella costituzione del Carnaro che egli redasse con il socialista De Ambris, durante l’occupazione di Fiume, e nella quale inserì la musica come “valore fondante della religione e della civiltà” suscitando l’incondizionata ammirazione di Arturo Toscanini che si recò a Fiume per dirigere un concerto proprio durante l’occupazione di D’Annunzio.
Ritengo quindi di concludere sul punto osservando che il decadentismo di D’Annunzio non può essere quello più sopra ricordato e fatto proprio dalla critica prevalente. Quello di D’Annunzio fu “un decadentismo futurista”, che non è una contraddizione ma un ossimoro, in quanto proprio in “Forse che sì forse che no” D’Annunzio è “decadentista” perché scrive un raffinato poema sia pure in prosa ma è “futurista” in quanto anticipa la grande epopea dell’aviazione come arma che proietta nel futuro le audaci imprese che un tempo si svolgevano o per terra o per mare.
II) Oltre che per la ricordata importanza della madre di Ugo nell’architettura della tragedia, il libretto di D’Annunzio merita di essere ricordato anche sotto altri profili. Innanzitutto per il lessico estremamente prezioso ed arcaico tanto da racchiudere taluni vocaboli mirati a sottolineare che l’epoca del dramma (1425) precede di 100 anni quello del più grande poema del Rinascimento e cioè l’Orlando furioso nel quale l’Ariosto usò un linguaggio che appare più moderno. Ecco alcuni esempi tratti dal solo primo atto: “Teniere” = manico ma anche fusto della balestra; “Infermato” = ammalato; “Brocchiere” = scudo con chiodo sul lato esterno come arma d’offesa; “Sofferitore” = tollerante; “Rigna” = ringhio; “Rancura” = dispiacere; “Careggiarti” = tenerti caro.
III) D’Annunzio inoltre ci offre pagine di grande lirismo, diversificato negli argomenti, in quanto talora rivolto alla psicologia del personaggio e talora ad un insospettato misticismo. Riporto qui di seguito tre brani particolarmente significativi:
Ugo: che fuoco è questo che arde e non consuma?
Che piaga è questa che sangue non getta?
Chi m’ha dato quest’ale senza piuma?
Chi m’addimanda e chiama e non aspetta?
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Ave Maria dei Pellegrini: ave donna graziosa allor in te discese il spirito santo. Ma dir non si potria quanto il tuo corpo oliva intanto, se ole del tuo pianto cielo e terra tuttavia
*****
Parisina: vedi io non lo serro e non io te il diniego, madre. Santa mi sei però che di te nacque ma forse non udita da lui fu la tua voce né forse ei l’ode ancora che già quando apparisti eramo là donde non più ritorna non più si volge l’anima innamorata.
IV) Ritornando alla struttura del dramma la sua componente più singolare può essere ravvisata nell’intero secondo atto tutto ambientato presso la casa di Nazareth che, secondo la tradizione cattolica, gli angeli trasportarono in volo dal Medio Oriente sino a Loreto nelle Marche. D’Annunzio dapprima descrive il clima mistico dell’ambientazione scrivendo una nuova versione dell’Ave Maria, egregiamente musicata da Mascagni, e rimasta del tutto sconosciuta a differenza di quelle arcinote di Schubert e Gounod; di poi D’Annunzio descrive l’incontro tra Parisina e Ugo sottointendendo in modo molto vago il possibile sviluppo della loro relazione. Il loro duetto infatti è tutto incentrato sulla emozione provocata dalla battaglia condotta da Ugo contro i pirati che dalla riva del mare minacciarono il Santuario di Loreto (situato come noto a qualche chilometro di distanza dalla spiaggia).
Il secondo atto si chiude con l’invito di Parisina ad Ugo a indirizzare alla Madonna una preghiera di ringraziamento per lo scampato pericolo. L’ambientazione presso il Santuario di Loreto non ha alcuna ragione storica atteso che Parisina non era molto devota e comunque non aveva ragione alcuna per recarsi in una località che distava da Ferrara oltre 200 km. Ritengo tuttavia di offrire una spiegazione di tale singolarissima ambientazione. D’Annunzio al tempo della redazione del libretto della Parisina (1912) aveva già scritto quella che possiamo considerare l’epopea della nascente aviazione con il romanzo “Forse che sì forse che no” del 1910. Successivamente, e come noto, D’Annunzio compì la memorabile impresa del volo su Vienna nella primavera del 1918 ritornando indenne nel campo base malgrado le scarsissime probabilità che la sua impresa avesse successo. Subito dopo la guerra D’Annunzio scrisse una lettera autografa a Pio XI sollecitandolo a nominare la Madonna di Loreto come patrona degli aviatori proprio perché la casa di Nazareth fu trasportato a Loreto dagli angeli in volo. Il Papa aderì a tale richiesta e da allora l’arma dell’aviazione ha come patrono la Madonna di Loreto. E’ quindi probabile che al tempo della redazione della Parisina nella mente di D’Annunzio già aleggiasse l’idea di collegare le vicende della casa di Nazareth alla Madonna di Loreto. Resta comunque il fatto che D’Annunzio scrive, all’interno di un dramma truce, una pagina religiosa dalla quale si erano astenuti tutti gli altri drammaturghi che si erano dedicati a Parisina.
V) Altri particolari rilevanti della Parisina li rinveniamo nel parallelo che D’Annunzio stabilisce fra la lettura delle vicende di Ginevra e Lancillotto da parte di Francesca Malatesta, antenata di Parisina, e le vicende di Tristano e Isotta sulle quali Parisina indugia nel terzo atto prima che il marito scopra la relazione incestuosa con Ugo. L’anzidetto eco wagneriano nel libretto viene arricchito dal cenno con cui Ugo conferma il suo grande amore per Parisina osservando che, a differenza di quello di Tristano, esso non sorse per effetto di alcun filtro.
VI) Da ultimo qualche cenno alla particolare psicologia con la quale D’Annunzio caratterizza i personaggi del dramma. Quanto a Parisina D’Annunzio la descrive come una donna energica e volitiva che dapprima contrasta energicamente le contumelie della rivale Stella de’ Tolomei, e di poi, reagisce con fermezza alle accuse di adulterio rivoltele da Nicolò III nel terzo atto del dramma. Quanto ad Ugo esso è presentato come il personaggio più tormentato di tutta l’opera sia in quanto angustiato dal fatto di essere un “bastardo”, sia in quanto alla continua ricerca di se stesso impegnandosi a compiere imprese coraggiose come quella della battaglia vittoriosa contro i pirati da lui condotta onde salvaguardare il Santuario di Loreto. Quanto a Stella de’ Tolomei essa incarna un dramma tipicamente materno in quanto, smaniosa di assicurare al figlio prediletto Ugo un luminoso destino, finisce per portarlo alla rovina in esito al di lui innamoramento di Parisina.
Quanto a Nicolò III esso è il personaggio meno presente sulla scena ed il suo ruolo è limitato a due brevi interventi:
– alla fine del primo atto, si adopra per placare la lite fra Stella de’ Tolomei e Parisina ed indi per tentare, senza successo, di rassicurare il figlio Ugo della propria benevolenza;
– alla fine del terzo atto Nicolò III viene invece presentato come ben determinato a fare giustizia dei due amanti senza invece manifestare quei tentennamenti che vengono riferiti dagli storici e che invece Felice Romani inserirà nel proprio libretto per l’opera di Donizetti.
- La vocalità di Parisina.
La miglior prova di quale fosse la vocalità di Parisina la possiamo con ragionevole certezza ottenere analizzando la vocalità della sua prima interprete scelta da Mascagni nella persona di una delle più note soprano drammatiche a lui contemporanee e cioè la signora Lina Pasini Vitale. Quest’ultima benchè italianissima fu la più grande interprete delle opere di Wagner, il cui repertorio le fu sempre prediletto, ed in particolare fu la prima interprete della parte di Kundry nel Parsifal. Questa grande cantante bellissima d’aspetto e potente negli acuti, riempiva la sala con l’empito inesauribile della passione in tutte quelle torbide pagine musicali che reclamavano polmoni d’acciaio ed eroico diaframma: requisiti questi ultimi che è impossibile negare nella parte di Kundry. Del resto Mascagni sia nella Parisina sia nel piccolo Marat sia nell’Isabeau non provava soverchia comprensione, né umana né artistica, per le voci dei propri interpreti ai quali chiedeva l’impossibile e quindi oltre i limiti imposti dalla natura della laringe.
La signora Pasini Vitale fu l’unica che conservò intatta la propria voce per un lungo periodo mentre altre voci, benchè dotate, non si salvarono dal naufragio. Questa testimonianza, attendibile in quanto rilasciata da Giacomo Lauri Volpi nel suo celebre volume “Voci parallele”, offre una sicura prova del profilo wagneriano della Parisina nella quale dunque è possibile racchiudere una sintesi dell’estro musicale e letterario di tre grandi: Mascagni, D’Annunzio, Wagner.
- La musica di Mascagni.
I) Pietro Mascagni, come del resto anche Umberto Giordano, tentò continuamente di rinnovarsi dopo il successo trionfale della Cavalleria rusticana e nella quale involontariamente musicò, nella siciliana d’apertura, le strofe dei librettisti i quali ricalcano, sia pure in dialetto siciliano, la frase di Sigmund nel secondo atto della Valchiria che rifiuta il paradiso del Walhalla in quanto ivi non troverà l’amata Siglinde. Fra i vari tentativi di rinnovamento si colloca la Parisina il cui testo dannunziano entusiasmò moltissimo il musicista. Mascagni infatti nel 1912, uscito dalla crisi nella quale era caduto dopo l’Iris e rincuorato dal successo di Isabeau, era nel pieno della maturità e quindi nella migliore situazione per cogliere la grande occasione per una nuova opera nel libretto che D’Annunzio aveva offerto a Puccini ancora prima di terminarlo. Proprio per questo Mascagni intrattenne un fitto scambio epistolare con D’Annunzio, esiliatosi a Parigi per gli ingenti debiti lasciati in Italia, allo scopo di concordare la armonizzazione della musica con il testo, che non sempre gli risultava chiaro, ed anche gli alleggerimenti che gli erano parsi necessari. Durante la composizione Mascagni fu tormentato da inquietudini armoniche che già in precedenza lo avevano indotto a far uso dell’esatonalismo (cioè della scala a 6 note anziché a 7 note).
Quale fu il risultato?
Ritengo che la discussione sia aperta ed ancora meritevole di una conclusione definitiva dopo il successo di stima alla prima rappresentazione e lo scarso seguito che l’opera ebbe negli anni successivi. Degli echi wagneriani nel libretto ho già detto in precedenza. Rimane quindi da considerare se e in che misura il wagnerismo sia stato recepito ed in che modo sia stato interpretato da Mascagni in aggiunta al declamato arioso che domina nella Parisina. La mia personale impressione, prestando attenzione alla orchestrazione, è quella di un wagnerismo filtrato attraverso il massimo wagnerista e cioè Richard Strauss nelle sue opere drammatiche (Salome, Elettra, la donna senza ombra). In particolare quest’ultima opera, presentata nel 1919 e quindi dopo la Parisina di Mascagni del 1913, presenta impasti orchestrali che troviamo già presenti anche nella Parisina. Al riguardo mi ha soprattutto colpito, nel terzo atto, il canto di Parisina, mentre è in attesa dell’arrivo di Ugo, e che si accompagna al canto dell’usignolo.
Tale situazione, in cui l’orchestra è simultaneamente presente insieme con il cantante solista e lo strumento che descrive il canto dell’usignolo, la troviamo sia nel mormorio della foresta nel Sigfrido di Wagner, sia nel canto del falco nel primo atto della Donna senza ombra di Strauss. A mio avviso l’oblio nel quale è caduta la Parisina di Mascagni, ben poche sono le sue riesumazioni nel primo e nel secondo dopoguerra, dipende dal fatto che l’opera risultò troppo lunga non tanto per il taglio del libretto di D’Annunzio, che rientra nella prassi dei libretti del tempo, quanto dal fatto che la musica di Mascagni da un lato è totalmente priva di arie orecchiabili, ancora ben presenti nei melodrammi degli anni 10 del secolo scorso, e dall’altro, è lungamente descrittiva, attraverso un ritmo assai lento della musica, della atmosfera del momento oltre che dello stato d’animo dei protagonisti presenti sulla scena.
Sappiamo benissimo che anche la musica di Wagner risponde a queste caratteristiche. Tuttavia Mascagni, che componeva per il pubblico italiano, non riuscì ad equilibrare in modo adeguato la necessità di “stare nei tempi” e di realizzare un clima musicale postwagneriano. Nel tentativo di riuscirci Mascagni commise un errore che risultò fatale.
Mascagni infatti non introdusse, come era invece ragionevole, dei tagli all’interno dei primi tre atti che avrebbero lasciato spazio al quarto atto nel quale la drammaturgia dannunziana, tutta incentrata sul dialogo fra Parisina e la madre di Ugo, aveva dato il meglio di sé. Al contrario Mascagni soppresse integralmente il quarto atto privando così l’opera dell’ottima musica che egli aveva composto, e, soprattutto privando il dramma della parte migliore che D’Annunzio aveva scritto inserendovi, oltre alla vicenda dei due amanti, anche quella della madre di Ugo.
II) A questo punto ritengo necessario passare all’audizione di alcuni brani dell’opera secondo l’ordine della composizione. Nel I atto propongo l’ascolto dell’invettiva di Stella de’ Tolomei contro Parisina. Sempre nel primo atto propongo l’ascolto del finale contenente lo scontro fra Nicolò III ed il figlio Ugo.
Nel II atto desidero evidenziare la versatilità letteraria di D’Annunzio ed il perfetto adeguamento di Mascagni al clima mistico ambientato a Loreto. Propongo pertanto l’ascolto dell’Ave Maria cantata dai pellegrini. Sempre in questo II atto merita attenzione il grande arioso/declamato di Parisina che anticipa le proprie ansie che troveranno il loro epilogo nell’atto successivo.
Nell’atto III propongo l’ascolto del concitato dialogo fra Parisina e la propria dama di compagnia nel quale troviamo descritta l’ansia ed il tormento della protagonista per la passione che la divora. In tale brano è presente il già accennato canto dell’usignolo che pongo a confronto, per le ragioni più sopra ricordate, con il canto del falco nella “Donna senz’ombra” di Richard Strauss.
Nell’atto IV -che Mascagni malauguratamente soppresse per le recite successive alla prima- scelgo l’ascolto di tre brani in quanto in essi si trova concentrata quella che è forse la parte migliore dell’intera opera per la ricordata eccellenza della situazione drammatica descritta da D’Annunzio ottimamente assecondata dalla musica di Mascagni.
BIBLIOGRAFIA
FULVIO VENTURI: Genesi e storia di Parisina – Montpellier 1999
GIANANDREA GAVAZZENI: A proposito di una ripresa – Bergamo 1974
ANTONIO SPINOSA: D’Annunzio il poeta armato – Milano 1987
GIACOMO LAURI VOLPI: Voci parallele – Bologna 1977
CARLO PARMENTOLA: in Storia dell’Opera diretta da Alberto Basso voce Mascagni – Torino 1977
LUCIANO CHIAPPINI: Gli Estensi – Milano 1967
LA PICCOLA TRECCANI: voce Parisina – Roma 1995
DIZIONARIO LETTERARIO BOMPIANI DELLE OPERE E DEI PERSONAGGI: voce Parisina Milano 1961