Associazione Wagneriana

LA PARISINA DI MASCAGNI/D’ANNUNZIO E LA PARISINA DI DONIZETTI/ROMANI – PARTE II

di Marco Polastri Menni (testo della Conferenza del 4/10/2017)

PARTE II: La Parisina di Donizetti/Romani

  1. Considerazioni generali

Ultimata l’analisi della Parisina di D’Annunzio/Mascagni mi sono reso conto di quanto sia difficile presentare adeguatamente un parallelo veramente obiettivo fra due opere che, pur trattando un medesimo fatto storicamente accaduto, risentono del diverso clima culturale esistente nel 1832 e nel 1912. Le difficoltà poi si accrescono se consideriamo la diversa personalità sia dei librettisti sia dei musicisti. Le due opere pertanto, pur riguardando la medesima vicenda risentono di una duplice rilettura: quella del librettista e quella del musicista. Tali difficoltà permangono anche se l’episodio storico considerato è, di per sé, molto semplice e scevro di situazioni oscure o incerte in quanto Nicolò III, scoperta in flagranza la relazione fra la moglie e Ugo, li fece giustiziare dopo un sommario processo.

Ed infatti i librettisti ed i musicisti hanno messo talmente tanto di se stessi da finire per imprimere alla rivisitazione artistica del medesimo fatto differenze così intense da essere insospettabili (e tali per cui chiunque ascolti consecutivamente le due opere è indotto a pensare che anche la trama sia diversa). Aggiungo che in confronti siffatti si annida il pericolo che la simpatia personale verso l’una o l’altra coppia di artisti (il librettista e il musicista) privi chiunque affronti il parallelo fra le due Parisine della necessaria obiettività nella disamina delle parole e della musica. A tale primo pericolo un altro se ne aggiunge: quello per cui la prima Parisina considerata (quella di Mascagni/D’Annunzio) induca a leggere l’altra Parisina (quella di Donizetti/Romani) sotto l’effetto della suggestione provocato dalla Parisina esaminata per prima. In altri termini vi è il pericolo che la Parisina di Donizetti/Romani venga posta, per così dire, sotto la lente di ingrandimento di quella di Mascagni/D’Annunzio o viceversa.

In realtà il timore nascente da queste premesse viene meno perché, al termine dell’esame del libretto di Romani, quello di D’Annunzio risulta talmente diverso che la medesima vicenda storica appare in un certo senso ribaltata come un guanto. Trova così conferma la nota battuta che Pirandello colloca ne “I sei personaggi in cerca d’autore” e secondo la quale “il fatto è come un sacco vuoto prende forma per le idee che ci si mettono dentro”. Che poi Romani e D’Annunzio, nella storia di Parisina, abbiano messo idee totalmente diverse confido che risulti da quanto dirò in seguito. Nel tentativo di rendere comunque più chiaro il parallelo fra le due Parisine seguirò il medesimo ordine espositivo degli argomenti che avevo scelto per quella di D’Annunzio.

  1. La modifica alla vicenda storica introdotta da Felice Romani

E’ innanzitutto necessario inquadrare la personalità di Felice Romani nel novero dei librettisti a lui contemporanei e cioè: Temistocle Solera, Salvatore Cammarano e Antonio Somma entrambi famosissimi librettisti delle opere più celebri del periodo romantico. Felice Romani li supera tutti di parecchie lunghezze atteso che egli scrisse ottimi libretti, e, primo fra questi, quello della Norma in ordine alla quale lo stesso Wagner, che la predilesse fra le opere italiane, da lui denigrate anche per gli scadenti libretti, nulla obiettò sulle parole e sullo snodo del dramma.

Purtroppo Felice Romani oltre a questa virtù aveva il difetto di un pessimo carattere, forse derivante dalla consapevolezza di essere il migliore fra i librettisti italiani del suo tempo, ed anche quello di una notevole superficialità nell’affrontare argomenti storici come quello di Parisina. Al riguardo basta leggere la prefazione al libretto che, con una iniziativa del tutto inusuale nell’opera lirica, lo stesso Romani volle anteporre al proprio libretto:

Nell’oscurità in cui ci lasciano le storie, quelle almeno cha a me riuscì di vedere, delle circostanze di quella famiglia e di quel fatto, io mi credetti in diritto d’inventarne alcune probabili, le quali potessero servire di fondamento al Melodramma.

E’ tuttavia difficile rinvenire nella letteratura una prefazione tanto menzognera rispetto alla vera vicenda storica. Ed infatti Romani modificò la vera storia di Parisina molto più di D’Annunzio e non tenne conto alcuno, malgrado quello che egli scrisse nella prefazione, né del dramma di Byron, al quale aveva dichiarato di ispirarsi, né della vera vicenda storica.

Romani invero:

  • a) esclude la consumazione dell’adulterio fra Parisina ed Ugo, (benchè storicamente avvenuto in quanto i due amanti furono scoperti in flagranza) e che D’Annunzio ha invece efficacemente sottolineato nel finale del III° atto del proprio libretto;
  • b) alterò completamente l’appartenenza di Parisina alla famiglia dei Malatesta, come effettivamente fu storicamente, descrivendola, del tutto erroneamente, come figlia di un signore feudale di Padova reintegrato nei suoi domini per intervento di Nicolò III;
  • c) modificò radicalmente il carattere di Nicolò III negando la sua vera indole libertina e rendendolo dubbioso sino alla fine dell’opera sulla necessità di condannare o meno la moglie Parisina ed il figlio Ugo, mentre nella realtà storica egli decise la loro condanna senza esitazione;
  • d) introdusse in luogo del personaggio storico di Stella de Tolomei, madre di Ugo, quello di Ernesto, ministro di Nicolò III, rendendolo protagonista di ben quattro tentativi di salvare i due innamorati laddove nulla di simile accadde nella vera storia;
  • e) inventò il colpo di scena della agnizione di Nicolò III come padre di Ugo (creduto dal primo un paggio di corte e non invece un proprio figlio naturale) laddove, al contrario, Nicolò III aveva sempre saputo che Ugo era un proprio figlio;
  • f) modificò la causa della morte di Parisina descrivendola come avvenuta per il grande dolore di aver dovuto contemplare il cadavere di Ugo, e non invece per la contestuale decapitazione sua e del suo amante come accertato storicamente.

E’ a questo punto chiaro per chiunque che le asserite “probabili” invenzioni che Romani indica nella prefazione non solo sono del tutto “improbabili” ma addirittura false anche se, proprio grazie a queste falsificazioni storiche, egli riuscì ad imprimere alla sua Parisina una originalissima forza drammatica. Al riguardo, e per tenere in debito conto il parallelo con il libretto di D’annunzio che anima l’analisi delle due Parisine, si impone una precisazione. Benchè la Parisina di Romani risalga al 1832, e quindi ad epoca grandemente anteriore a quella in cui visse D’Annunzio, quest’ultimo quasi certamente non la conosceva.

Grazie infatti alla preziosa indagine condotta dalla fondazione “Opera rara”, è dato sapere che l’ultima rappresentazione della Parisina di Donizetti nel secolo XIX ebbe luogo a Parma nel 1871 allorquando D’Annunzio aveva soltanto sette anni, e, in quell’epoca, non si era mai mosso da Pescara. Le riprese dell’opera di Donizetti iniziarono infatti soltanto nel 1964 allorquando D’Annunzio era morto da molti anni. E’ quindi da escludere una voluta contrapposizione Dannunziana al libretto di Felice Romani, o meglio tale contrapposizione esiste ma solo in ragione della diversa personalità di D’annunzio.

  1. La struttura del libretto di Romani

Per commentare adeguatamente la drammaturgia ed indi i caratteri dei personaggi della Parisina di Romani ritengo opportuno premettere un breve riassunto del libretto.

3.1. Il primo atto inizia con la preoccupazione del ministro Ernesto, e di tutti i cortigiani, per il grave stato d’animo di Nicolò III manifestatosi da tempo turbato perché i propri rapporti coniugali con Parisina risultavano intiepiditi ed anzi rifiutati per volontà di quest’ultima. Successivamente entra in scena Nicolò III il quale, dopo aver saputo da Ernesto della grande vittoria riportata dalle proprie armate con la riconquista del feudo appartenuto al padre di Parisina, confida allo stesso Ernesto che le gioie della vittoria non lo ripagano del peggioramento dei propri rapporti con la moglie per la quale manifesta un profondissimo amore unitamente ad un sospetto di tradimento.

Allontanatosi il Duca, Ugo si presenta improvvisamente a palazzo, malgrado il suo allontanamento per ordine dello stesso duca, confidando ad Ernesto di essere tornato a corte per rivedere Parisina da lui amata. Ernesto -reso edotto dello stato d’animo di Nicolò III– esercita il primo tentativo di salvare il giovane dal pericolo della gelosia del duca. Ugo, tuttavia, intende lasciare Ferrara soltanto dopo aver rivisto Parisina. Dopo un cambio di scena Parisina appare infelice della propria situazione per avere sposato il duca di Ferrara, che non amava, contro la propria volontà, e soltanto per ottenerne l’aiuto alla riconquista del feudo perduto dal proprio genitore.

Proprio per ciò Parisina rifiuta l’invito a partecipare ai festeggiamenti per la vittoria riportata e si avvede improvvisamente della presenza di Ugo che le conferma il proprio amore. Entra improvvisamente il duca e viene a questo punto descritta la situazione critica, tipica del concertato romantico, in cui alla presenza dei quattro protagonisti (Ugo, Parisina, Nicolò III ed Ernesto) il duca manifesta la propria irritata sorpresa per aver notato, non solo il ritorno di Ugo da lui non consentito ma addirittura la sua presenza al cospetto di Parisina.

Gli altri protagonisti reagiscono abilmente nella difficile situazione ed Ernesto esercita con prontezza il secondo tentativo di salvare gli innamorati invitando il duca a bandire ogni ragione di malcontento in quanto tutta Ferrara si prepara a festeggiare la vittoria della quale lo stesso duca dovrebbe gioire. Nicolò III simula benevolenza, autorizzando Ugo a restare, pur riservandosi di verificare come si comporteranno i due giovani. Parisina, dal canto suo dichiara con entusiasmo di volere partecipare ai festeggiamenti, in precedenza rifiutati, ma ciò unicamente per aver Ugo vicino in tale occasione.

3.2. Nel secondo atto Parisina, dopo aver evocato i momenti più belli della propria adolescenza, si addormenta. Durante il sonno Nicolò III sopraggiunge “meditando” sui propri dubbi riguardanti la fedeltà della moglie. Parisina durante il sonno nomina involontariamente Ugo come oggetto dei propri desideri, e, a questo punto, Nicolò III la sveglia accusandola di nutrire una illecita passione che Parisina non nega durante un concitato duetto con il furibondo consorte.

Nel successivo cambio di scena durante una fastosa festa da ballo Ernesto compie il terzo tentativo di distogliere il giovane Ugo dalla sua insana passione per Parisina. Sopraggiunge l’ordine di Nicolò III con cui viene intimato a Ugo di presentarsi al suo cospetto da solo e quindi senza la presenza di Ernesto. Nel nuovo cambio di scena Nicolò III mette a confronto, dopo averli incantenati, i due amanti i quali finiscono per ammettere la loro passione con conseguente loro condanna a morte. Intuendo tale situazione il ministro Ernesto sopraggiunge, malgrado il divieto di comparire, e compie il quarto tentativo di salvare Ugo e Parisina giocando l’ultima carta a proprie mani: quella di comunicare a Nicolò III che Ugo è in realtà suo figlio con conseguente invito a desistere dal versare il proprio sangue. Nel concitato finale d’atto la perorazione rivolta dal ministro sembra accolta da Nicolò III il quale dispone che Parisina, sciolta dalle catene, venga reintegrata nella propria veste di duchessa mentre ad Ugo viene ordinato di allontanarsi da Ferrara accompagnato dallo stesso Ernesto.

3.3. Il terzo atto è ambientato in una ala del palazzo nella quale Parisina confida alla propria ancella di aver ricevuto, grazie ad un guardiano dichiaratosi amico di Ugo, un messaggio con cui quest’ultimo le propone di fuggire insieme nel feudo che il padre di Parisina aveva riconquistato con l’aiuto decisivo Nicolò III. Parisina esita, indi decide di respingere la proposta ma prima di raggiungere il proprio appartamento viene sorpresa da Nicolò III il quale le rimprovera l’intento di fuggire con Ugo e quindi la costringe a vedere al di là di una grata il cadavere dell’amante decapitato. La disperazione di Parisina si manifesta con la tipica grande aria del soprano drammatico di agilità largamente presente nelle opere di Donizetti e con la successiva morte della stessa Parisina in esito al trauma per la contemplazione dell’uomo amato.

  1. Riflessioni personali sulla struttura del dramma di Romani

Alla luce di questo breve riassunto del libretto, balzano evidenti alcune sue rilevanti caratteristiche.

In primo luogo Romani costruisce lo schema del dramma con quattro protagonisti sostituendo il ministro Ernesto alla D’Annunziana Stella De Tolomei. Il chè costituisce un primo elemento di originalità rispetto al triangolo che troviamo nei numerosi libretti d’opera dedicati alla tragedia che consegue ad un adulterio vero o presunto tale.

In secondo luogo la Parisina di Romani non è solo il dramma dei due giovani amanti, ma, al contrario, è anche il dramma di Nicolò III, e, in un certo senso anche quello di Ernesto che alla fine vede fallire il proprio impegno di salvare Ugo proprio quando pensava di esserVi riuscito nel finale dell’atto II. Nicolo III ed Ernesto non assistono dunque all’unico dramma dei giovani protagonisti ma ne subiscono le conseguenze vivendo una propria ed autonoma tragedia: il primo come padre biologico di Ugo risultato l’amante della propria seconda moglie, ed il secondo come padre putativo dello stesso Ugo che non riesce a salvarlo dalla morte. Tutto ciò rende indubbiamente più originale e complesso l’intero dramma. Credo infatti che ben pochi librettisti siano riusciti a tanto atteso che in tutte le trame operistiche concernenti la ripetuta vicenda “Lui, Lei e l’altro amante di Lei” il vero baricentro del dramma resta concentrato solo sugli ultimi due.

In terzo luogo è singolare che l’intera azione sviluppata nei tre atti si svolge tutta nel breve arco di un solo giorno: dal primo mattino, in cui inizia il primo atto in una corte rinascimentale preoccupata per la situazione del proprio sovrano, sino al successivo mattino nel quale si conclude la tragedia con la morte di Ugo e Parisina. Tale concentrazione dell’azione in un’opera di tre atti, la troviamo soltanto, molti decenni dopo, nella Tosca di Sardou, musicata da Puccini e che, come noto, inizia a mezzogiorno, alla recita dell’Angelus, e termina all’ora quarta del mattino successivo. In ragione di ciò l’intero dramma risulta serrato entro un tempo brevissimo e perciò colpisce emotivamente lo spettatore.

In quarto luogo nella Parisina è sorprendente la perfetta realizzazione della coesistenza fra il dramma, cupo sin dall’inizio e macabro nel finale, e la sua riuscita ambientazione in una fastosa corte rinascimentale. Coesistenza questa che torna a merito di Donizetti e Romani atteso che così davvero erano le corti degli Stati italiani della metà del quattrocento

In quinto luogo è ammirevole anche per la sua originalità il continuo rinnovarsi della “suspense” sulla sorte di Ugo e Parisina che Romani riesce a creare nei due grandi concertati che chiudono i primi due atti. Ed infatti Ernesto riesce in entrambi ad escogitare argomenti per distogliere Nicolo II dal proposito, che aleggiava già a metà del primo atto, di punire i due amanti: la prima volta lusingando il Duca per la vittoria militare riportata e la seconda volta svelandogli che Ugo è suo figlio. Con tali abili accorgimenti Romani, da un lato, riesce a suscitare negli spettatori la sensazione che i due amanti riescano a salvarsi in un contesto letterario che anticipa i romanzi “thriller” di fine ottocento, e , dall’altro, prende le distanze da tutti gli altri libretti nei quali sin dal primo atto lo spettatore, che non conosca la trama dell’opera, comprende che il tenore ed il soprano non riusciranno a coronare il proprio sogno d’amore: ed il terzetto del primo atto fra Radames Amneris ed Aida è , al riguardo emblematico.

In sesto luogo nella Parisina, oltre alla concentrazione del dramma in poche ore, vi è anche un elemento che lascia lo spettatore in grave dubbio sul motivo del suo tragico epilogo (e cioè della morte di Ugo che sembrava escluso dal finale dell’atto secondo). Ed infatti, mentre nella Tosca è chiaro fin dal secondo atto che Scarpia e Spoletta si erano preventivamente accordati di far credere a Tosca di salvare la vita a Cavaradossi, nella Parisina il finale si presta a due diverse interpretazioni: o la lettera con cui Ugo propone a Parisina di fuggire è falsa in quanto predisposta da Nicolo II per sottrarsi alla promessa di salvare i due innamorati, oppure la lettera è autentica e allora la vendetta di Nicolo III trova una pseudo giustificazione nel fatto che Ugo intendeva violare la promessa di partire per l’esilio accompagnato da Ernesto.

In settimo luogo la morte di Parisina viene descritta e musicata non già come epilogo di un dramma di amore e morte bensì come un dramma di morte per amore, e ciò in esito alla morte di Ugo, dando così luogo ad un a parziale analogia con la morte di Isotta. Mentre l’eroina wagneriana si spegne dopo aver constatato la dipartita di Tristano, resa del tutto prevedibile sin dall’inizio del lunghissimo terzo atto, la morte di Parisina si verifica negli ultimi dieci minuti del dramma in esito alla improvvisa ed imprevedibile presentazione del cadavere di Ugo decapitato. E la trenodia seguita dalla grande aria ”Ugo è spento” costituisce l’espressione protoromantica, rispetto al maturo romanticismo wagneriano, più toccante della musica latina del primo ottocento.

  1. La caratterizzazione dei personaggi

5.1. Per la complessità della figura di Nicolò III, anche in quanto protagonista di un dramma autonomo rispetto a quello dei due giovani amanti, delineo per primo il carattere di questo personaggio.

Il duca di Ferrara infatti, che storicamente fu uno sfrenato libertino, e che da D’Annunzio fu brevemente ma efficacemente scolpito come un uomo inflessibile nel primo atto e crudelmente beffardo nel terzo, nel libretto di Romani viene presentato del tutto diversamente.

Nel primo atto Nicolò III appare una vittima della disaffezione di Parisina pronunciando queste parole: “per veder su quel viso il balen di un suo sorriso non che Italia aver vorrei ma cielo e terra e darli a lei”; indi, riferendosi al proprio suocero, al quale aveva ridato il trono che gli apparteneva, dichiara “ei mi diede Parisina lieve è un trono come sua ricompensa”. In seguito, sempre riferendosi a Parisina, Nicolò III dichiara “sdegno e amor del par l’irrita io darei corona e vita per poter domar quel cor”. Dopo queste accese parole di infiammato amore, Nicolò III inizia a subire il tarlo della gelosia per la possibile esistenza di un amante della moglie, e, confidandosi con Ernesto, gli dichiara “a me rivale mi dipingono perfino il giovin Ugo che orfano accogliesti e che io qui crebbi fra i paggi miei”.

Nicolò III, dopo aver scoperto la presenza di Ugo al cospetto di Parisina, viene ripreso dal tarlo della gelosia e dichiara “tutto al fin mi si palesa, sciolto e ormai caduto è il velo in mia mano avrò le prove della loro malvagità, simuliamo, vediamo fin dove la rea coppia giungerà”. Subito dopo Nicolò III accantona la propria gelosia, e, grazie all’abile intervento di Ernesto, dichiara, in ragione dei grandiosi festeggiamenti per la vittoria militare, “Ugo resti, cotanto splendore e tanta gioia non voglio funestar”.

Nel secondo atto Nicolò III sembra abbandonare ogni dubbio di colpevolezza vedendo Parisina profondamente addormentata e così si esprime “Ella riposa, riposar potrebbe se rea ella fosse? Non hai tu rimorso alcuno? No non è rea se ella riposa in calma”. Parisina tuttavia, parlando nel sonno, menziona Ugo come persona fortemente desiderata; in ragione di ciò Nicolò III, acquisita la confessione di Parisina di amare Ugo, rifiuta di darle la morte, implorata dalla stessa Parisina, esprimendo un sadico desiderio di vendetta “che io ti sveni ed al tuo supplizio ponga fine una ferita? Lungo io voglio sacrifizio non di morte ma di vita, vivi al pianto, vivi al lutto”. Nella successiva scena dello stesso atto, Nicolò III -ottenuta la conferma da entrambi gli amanti della loro passione, e revocata la loro condanna a morte grazie all’intervento di Ernesto che gli comunica di essere il padre di Ugo- così si esprime “vada, sì vada Ugo. Inorridir non debba per me Ferrara; Parisina rimanga”. Tuttavia subito dopo Nicolò III manifesta un ennesimo ripensamento in quanto nel finale d’atto dichiara “non più: sono fermo appieno la mia trama è ordita”: frase quest’ultima suscettiva di essere variamente interpretata.

Nel terzo atto Nicolò III avendo scoperto che Ugo intendeva fuggire con Parisina, o forse dopo aver egli stesso finto di favorire detta fuga, compie la propria vendetta nell’ultima scena dell’opera nella quale costringe Parisina a vedere il corpo di Ugo decapitato. In buona sostanza il duca di Ferrara viene prospettato da Romani come succube della gelosia alla quale aveva tentato in ogni modo di sottrarsi ma ciò in un contesto del tutto diverso dal celebre personaggio shakespeariano. Mentre infatti Otello è una vittima del perfido progetto di Jago che, dopo aver ingenerato i primi sospetti, gli somministra false prove della infedeltà di Desdemona, Nicolò III tenta ripetutamente di fugare i propri personali sospetti arrendendosi solo alla fine di fronte al tentativo di fuga degli amanti. In base alle batture surricordate gli stati d’animo di Nicolò III descritti da Romani mutano almeno sei volte nel breve arco temporale di un solo giorno. Tali mutamenti non evidenziano un semplice carattere umorale del personaggio, ma una realtà ben più complessa. Nicolò III, da un lato è ansioso di recuperare l’affetto di Parisina tanto di dichiararsi pronto a rinunciare, a tal fine, al trono ducale, e, dall’altro, è afflitto dal tormentoso dubbio del tradimento giungendo a provare rimorso per aver dubitato dell’innocenza di Parisina.

Inoltre Nicolò III alterna momenti di magnanimità, perdonando due volte la passione incestuosa e adulterina, a momenti di sadica crudeltà compiacendosi di punire Parisina in modo peggiore di una morte istantanea. Tali contraddittori comportamenti, che portano il duca ad entrare e ad uscire di continuo da diversi stati d’animo, non sono riferibili ad una persona semplicemente insicura nel giudicare una angosciante situazione. Sembra invero che Romani abbia finito per delineare, forse senza rendersene conto, in Nicolò III il primo personaggio vagamente paranoico nella storia del melodramma. Torna quindi a suo merito aver creato un personaggio del tutto nuovo nella situazione molte volte ripetuta del marito tradito. Ed infatti tutti i numerosi mariti che, nella storia dell’opera lirica (dal nobile Gianciotto Malatesta al carrettiere compar Alfio), si ritengono traditi, risultano saldamente decisi, senza le esitazioni di Nicolò III, a lavare con il sangue l’offesa ricevuta. Nella letteratura operistica i delitti passionali appaiono dunque antropologicamente interclassisti. Incidentalmente osservo che probabilmente in tutta la storia del melodramma l’unico marito che sostanzialmente finisce per perdonare il tradimento della moglie è il Re Marke nel Tristano e Isotta di Wagner: trattasi dell’eccezione che conferma la regola.

5.2. La protagonista femminile nulla ha a che vedere con le eroine di altre opere che trattano gli amori contrastati e che si assomigliano un po’ tutte per la loro sostanziale fragilità quasi mai accompagnata da una ulteriore personalizzazione. La Parisina di Romani è invece una donna caratterialmente forte ancor più di quella di D’Annunzio, e, anzi addirittura spavalda in certi momenti. Si veda al riguardo quanto Parisina afferma nel finale I°, allorquando decide di partecipare ai festeggiamenti, che aveva poco prima rifiutato: “sì quest’alma respira un istante, si apre a gioia non prima sentita alla festa ove gloria ci invita io spero conforto trovar”. Si veda inoltre la affermazione di Parisina nel II atto, nel quale, accusata di essere rea, risponde al marito “tutti siamo rei ma solo noi lo siamo di desideri tu invece (riferendosi a Nicolò III) di opere. Maledetto il giorno che me all’altare tu traevi ad onta del pianto mio”.

5.3. Ugo viene invece delineato in modo opposto rispetto a D’Annunzio in quanto Romani lo caratterizza come un giovane molto impulsivo nel manifestare il proprio amore e totalmente privo della doverosa prudenza persino nel momento in cui apprende di essere figlio di Nicolò III. Ugo infatti assume un atteggiamento addirittura irresponsabile non esitando a dichiarare al proprio genitore “empio il padre da cui nacqui… gonfio è il core di amarezza e di dolore… ei la madre mia mi ha rapita e mi ha serbato a infame vita”.

5.4. Del tutto nuovo, e quindi interessante, è il personaggio del ministro Ernesto il quale, in tutta la sua notevole presenza in scena, persegue con tenacia, ma anche con molta sagacia, il disegno di salvare Ugo dal pericolo nascente dal suo non consentito amore per Parisina, giungendo a giocare, da ultimo, quella che appariva l’unica carta vincente: informare il duca di essere il vero padre di Ugo.

  1. La vocalità dei protagonisti di Parisina.

La vocalità di Parisina rimane quella del soprano drammatico di agilità che Donizetti volle in molte sue opere ma con una curiosità che desidero accennare. Mentre Mascagni per la sua Parisina scelse Lina Pasini Vitale (la più grande soprano wagneriana italiana), Donizetti volle la più grande cantante tedesca successivamente specializzatasi nell’opera italiana e cioè Carolina Ungher (mezzo soprano estesa verso l’alto come Giuditta Pasta).

La vocalità di Ugo è quella che Donizetti creò, per così dire, su misura per i mezzi eccezionali di Duprez il più grande tenore del suo tempo e primo protagonista di molti altri capolavori di Donizetti (Lucia, Poliuto, Favorita e Don Sebastiano). Tali mezzi eccezionali li possedeva Luciano Pavarotti che purtroppo non incise la Parisina e che disgraziatamente difettavano totalmente in tutti i tenori delle tre edizioni discografiche dell’opera. Proprio per ciò Elvio Giudici ha definito l’aria di Ugo “io sentia tremar la mano” come una parete di sesto grado per cui è bene risparmiare l’ascolto di tenori impari a tale scalata. La vocalità di Nicolò III è anch’essa quella dei baritoni donizettiani (Alfonso ne La favorita, Enrico nella Lucia, Chevreuse nella Maria di Rohan, ecc.).

La difficoltà della parte non è quindi solo tecnica, ma, anzi, quella del giusto accento che il cantante deve saper riservare ai mutevoli e tormentati stati d’animo del personaggio interpretato sino a quello, imprevedibile, del III atto che esige l’impronta del cinismo beffardo. La vocalità del ministro Ernesto (quella del basso) non presenta difficoltà tecniche. Tuttavia, ancora una volta, è l’accento, ora paternamente affettuoso verso Ugo, ora vibrante nell’esortazione ed infine audace allorquando Ernesto sfida Nicolò III nel finale II intimandogli di non assassinare il proprio figlio. Proprio per ciò la vocalità di Ernesto è una delle più espressive e variegate del repertorio romantico dedicato al registro di basso.

  1. La genesi dell’opera e la musica di Donizetti

La genesi della Parisina è davvero singolare per la eccezionale rapidità con cui Donizetti riuscì a musicare il libretto entro il tempo necessario per la prima rappresentazione prevista a Firenze il 17.3.1833. Benchè Donizetti avesse firmato il contratto con l’impresario teatrale nel maggio del 1832 –disponendo così di un tempo apparentemente più che congruo per la composizione- i problemi si presentarono ben presto ed assai gravi a causa del ritardo di Felice Romani, avvezzo a non rispettare i propri impegni e rispettandoli ancor meno proprio per la redazione del libretto della Parisina.

Romani infatti si era nel contempo impegnato a scrivere, nella seconda metà del 1832, ben quattro libretti per altri musicisti per cui, anziché consegnare quello della Parisina alla data prevista, lo terminò soltanto all’inizio del 1833 rendendo quasi impossibile a Donizetti completare la partitura in tempo per le prove che, necessariamente, dovevano precedere la prima rappresentazione. Romani inoltre inviò il libretto “a pezzi” impedendo a Donizetti di avere il necessario quadro di insieme del dramma, tanto che il musicista, esasperato, propose in un primo tempo all’impresario di rappresentare per la data prevista altra sua opera in luogo della Parisina.

Donizetti tuttavia, come già avvenuto per altri capolavori compiuti in breve tempo, dichiarò che, anche a proposito della Parisina, gli era risultato possibile dare il meglio di sé in tempi stretti non essendo egli caratterialmente avvezzo alle rielaborazioni. L’opera ebbe comunque grande successo, Donizetti la considerò la migliore fra quelle da lui composte, e fino al 1871 venne rappresentata in tutti i più importanti teatri dei cinque continenti.

Uno sguardo di insieme della partitura consente di rilevare innanzitutto un eccellente equilibrio nella presenza di tutte le forme musicali dell’opera romantica. A Parisina infatti Donizetti dedica due arie elegiache di squisita fattura, tre vibranti interventi da soprano drammatico di agilità nei due concertati e nel drammatico duetto con Nicolò III, ed, infine, la grande cabaletta che chiude l’opera dopo una angosciante trenodia. Notevoli anche i duetti fra altri personaggi, Nicolò III ed Ernesto e lo stesso Ernesto con Ugo.

Alla luce di queste innegabili caratteristiche dell’opera, densa di colpi di scena, stupisce che un critico definì la Parisina priva di eventi che tengono desta l’attenzione dello spettatore riconducendo quest’opera ad un romanzo psicologico-musicale più che ad uno spettacolo teatrale. Nello stesso abbaglio sembra incorso anche Elvio Giudici secondo cui “Donizetti ha senz’altro rinnovato gli schemi operistici del suo tempo” mentre la sua Parisina sarebbe opera di caratteri, di stati d’animo, di inespressi e oscuri sentimenti più che opera di situazioni e di avvenimenti. E’ infatti vero il contrario atteso che il pregio dell’opera, sia letterario che musicale, risiede proprio nella coesistenza dello scavo psicologico dei personaggi con il dinamico e serrato sviluppo di avvenimenti largamente imprevedibili.

Più convincente, anche se incompleto, è il parere di Alberto Basso il quale afferma che la statura tragica dei protagonisti di Parisina evidenzia una meditata ricerca psicologica particolarmente approfondita nei recitativi, nella stupenda cupezza dell’atto III e nella toccante trenodia finale, una delle alte pagine del romanticismo musicale. Manca peraltro in tale autore ogni cenno alla improvvisa tragicità dell’epilogo non prevedibile dopo l’apparente perdono concesso da Nicolò III. In via di estrema sintesi sulla qualità della musica, meritano, fra gli altri scritti della critica, di essere ricordato il parere di Jeremy Commons.

Questo studioso segnala tra l’altro che Donizetti, un tempo qualificato come seguace di Rossini e debole precursore di Verdi, è ora riconosciuto come un compositore datato di una genuina impronta e sensibilità sue proprie e ciò quantomeno a far tempo dal 1830, data nella quale Donizetti, con il suo potenziale creativo, eclissa i suoi rivali soprattutto attraverso il suo liricismo e la sua limpidezza melodica. Al riguardo, e qui aggiungo una chiosa personale, Donizetti riesce a far decollare “alla grande” l’emozione degli spettatori nei suoi migliori concertati che invece i musicisti contemporanei quasi sempre riducono ad una corretta attuazione delle regole dell’armonia secondo lo stile del tempo.

Jeremy Commons poi giustamente segnala che Donizetti compie una sensuale esplorazione di espressioni, di armonici e di ritmici effetti spesso inaspettati e sempre piacevoli, e, al riguardo, cita l’aria “sogno talor di correre” fra le più squisite composte da Donizetti per la capacità di descrivere a ritroso nel tempo i giorni della fanciullezza di Parisina come se essa fuggisse da sé stessa. Mutando completamente registro Donizetti, nel duetto fra Parisina e Nicolò III, realizza uno dei più avvincenti momenti della sua produzione. Sempre secondo questo studioso nulla di quanto contenuto nei primi due atti può prepararci allo straziante impatto del III° atto nel quale ci troviamo di fronte ad una pura tragedia, concepita al “calor bianco”, e frutto di una autentica ispirazione musicale.

Ed infatti l’aria “ciel sei tu che in tal momento” è un saggio di costante ricerca di modulazioni sfumate ed emotive mentre il finale “Ugo è spento”, dove la versificazione inizia con struggente dolore e termina con una selvaggia invettiva, è elettrizzante e lacerante. Il terzo atto nella sua brevità è senz’altro un supremo esempio dell’abilità di Donizetti di tenere l’auditorio incantato, atterrito e nel contempo affascinato in questo logorante ma purificante processo che è la prerogativa della catarsi teatrale. In tale contesto è davvero arduo selezionare per l’ascolto i brani migliori e pertanto, alterno il parere degli importanti studiosi che ho ricordato con il mio gusto personale.

Propongo quindi dal primo atto l’arioso “forse un destin che intendere”.

Ancora dal primo atto propongo il concertato finale nel quale Monserrat Caballe sfodera la sua vibrante espressività nella stretta. Del secondo atto propongo l’ascolto della romanza, così la definì Donizetti, “sogno talor di correre”, tanto apprezzata da Ashbrook, e ciò per due ragioni: tale brano infatti, da un lato, evidenzia la estrema duttilità della voce richiesta per Parisina (spavalda nella stretta del finale primo e dolcissima in questo brano) e, dall’altro, anticipa la situazione della canzone del Salice dell’Otello di Verdi. Sempre nel secondo atto è pregevole l’atmosfera tormentata di Nicolò III, ansioso di convincersi della fedeltà della moglie, che, in realtà, è subito smentita dalla rivelazione, fatta in sogno da Parisina, del proprio amore per Ugo. Ancora del secondo atto propongo il concertato finale e nel quale la agnizione fatta da Ernesto di Ugo come vero figlio di Nicolò III sembra aver evitato la condanna a morte degli amanti decisa poco prima dal duca.

Del terzo atto, tanto elogiato nella ricordata storia dell’opera, propongo l’ascolto del finale nel quale gli ultimi 12 minuti di musica si snodano e si susseguono in tre momenti: l’arioso di Parisina, la trenodia e la cabaletta finale.