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Associazione Wagneriana

Magnifici esiti per una rivoluzione mancata (di Guido Salvetti)

Programma di sala Teatro San Carlo, stagione 2005/2006

Nel clima rivoluzionario del 1848, la Morte di Sigfrido [Siegfrieds Tod] avrebbe dovuto rappresentare la liberazione dell’umanità è ad opera di un redentore è dalla maledizione dell’oro. Ma l’intrico dei miti, dei racconti e dei simboli apparve bisognoso, da subito, di un altro dramma che mostrasse i presupposti e gli antefatti. E fu Il giovane Sigfrido [Der junge Siegfried]. Il percorso a ritroso continuò ulteriormente. La Valchiria [Die Walkìre], assieme al “prologo” L’oro del Reno [Das Rheingold], avrebbe fatto “comprendere il mito nella sua interezza, nel suo significato più profondo e largo, con la precisione artistica più grande, con lo scopo di essere capito integralmente” (lettera a Liszt del 20 novembre 1851).
Tre drammi musicali avrebbero dunque avuto il compito di dar vita rappresentativa  “plastica”, come Wagner diceva ” alla componente narrativa” ” epica” e, così debordante nel Siegfrieds Tod. E ciò nella convinzione più volte espressa che i grandi messaggi, per essere convincenti, devono coinvolgere  con la visione e l’ascolto e la totalità della ricezione sensoriale del pubblico.
Eppure la componente “epica” non venne minimamente intaccata da questo immane sforzo di rappresentare gli antefatti, e gli antefatti degli antefatti. Si devono infatti notare due aspetti dell’interessante contraddizione insita nel passaggio dal concepimento del dramma unico alla stesura dei quattro drammi. Il primo  che Il crepuscolo degli dei, diretta derivazione della Morte di Sigfrido, mantiene tutti i racconti della versione originaria, anche se molti di quelli si riferiscono a parti ben note delle opere precedenti. Il secondo  che ognuna delle tre opere precedenti il Crepuscolo  a sua volta intessuta di racconti, riferiti alcuni ai fatti rappresentati in precedenza, evocatori, altri, di momenti non rappresentati: sono, ad esempio, quegli eventi appartenenti al tempo che si immagina intercorso tra l’uno e l’altro dramma.
La ragione profonda che spinse Wagner a premettere tre vasti drammi alla Morte di Sigfrido non credo quindi che sia stata davvero quella di spiegarne meglio i significati, ne di neutralizzare con la rappresentazione la componente narrativa. Il concepimento delle tre opere nasce piuttosto da un forte indebolimento, negli anni del riflusso post-1848, delle ragioni filosofiche e politiche che lo avevano spinto verso il messaggio rivoluzionario della Morte di Sigfrido; e tale indebolimento apre le porte alla facoltà di dar vita artisticamente determinata ad affascinanti immagini mitiche, a grandiose prospettive cosmologiche, a personaggi di complessa e ricca psicologia. Si impone, insomma, in Wagner la fantasia letterario-musicale, che già negli anni di Dresda gli faceva desiderare racconti fantastici, liberi dagli apparati delle grandi opere. L’Oro del Reno, la Valchiria, il Sigfrido e il Tristano e Isotta, a cui in varia misura lavorò negli anni di Zurigo (1852-59), sono l’attuazione di quell’aspirazione. Sono quelle opere miracolose che  secondo quanto ebbe a scrivere nell’ottobre 1859 a Otto Wesendonck dopo aver drammaticamente abbandonato quella città  aveva concepito con lo sguardo rivolto alle sublimi montagne incoronate dall’oro del sole. La Valchiria, in particolare, fu davvero quell’ “atto di amore”, di cui parla Thomas Mann, verso i miti adombrati e appena tratteggiati nei racconti della Morte di Sigfrido, e desiderosi, in modo prorompente, di vivere di vita propria.
Sono miti, innanzi tutto, in cui sono ormai quasi irriconoscibili le fonti medievali. Il Codex regius che contiene l’Edda  lacunoso proprio nella parte del concepimento del futuro eroe Singfujtli che non conosce la paura, e la Volsungasaga, rozza e intricata, che solitamente viene utilizzata per integrare le lacune nei racconti dell’Edda, in questo caso non può servire allo scopo, poichè si occupa, si, di un eroe, Sigurd, che uccide un drago e risveglia Brünnhilde, ma lo fa figlio, anzichè della coppia incestuosa Signy-Siegmundr, dell’unione legittima di Siegmundr con Hjördis. Wagner può quindi inventare il mito con totale libertà, rendendolo portatore di valori che non hanno nulla a che fare con un qualsiasi poema eddico.
Al centro, romanticamente, si colloca l’amore assoluto, più forte di ogni legge e di ogni costrizione; amore struggente sbocciato all’alitare notturno della primavera; amore che si proietta su vasti orizzonti montani e celesti, dove le Valchirie fanno tutt’uno con le nubi tempestose, lo schianto dei fulmini e il risuonare dei tuoni; amore che penetra nel fondo tormentato e torbido dell’animo di Wotan, dio che compie violenza verso se stesso e che abdica alla potenza fino al punto da intenerirsi accarezzando in lacrime la figlia dormiente. Il musicista affronta con grande trasporto questo tema, anche avvalendosi  “siamo nella seconda metà del 1854 “ della frequentazione appassionata con Mathilde Wesendonk, a cui alludono nell’autografo del primo atto i criptogrammi “G S M” (“Gesegnet sei Mathilde”, sii benedetta Matilde) e “S m g M” (“Sei mir gegrüst Mathilde”, abbi il mio saluto Matilde). La scelta musicale che nasce da questo coinvolgimento emotivo  sostanzialmente la melodia cantabile e appassionata, che tanto più giunge a stupirci dopo l’inibita declamazione dell’Oro del Reno e la corrispondente teoria contenuta in Opera e dramma. E invece in La Valchiria  pienamente operante la correlazione tra commozione del personaggio e tensione melodica del suo canto. La melodia vocale si riflette negli a solo del clarinetto basso, dell’oboe, del corno inglese, dei violoncelli, e così via. La vicenda dei due amanti-fratelli, che coinvolge intensamente le passioni di Brünnhilde e di Wotan, rimane così avvolta da un melodizzare aperto, trascinante.
Questo stesso melodizzare risolve anche l’eterno nodo wagneriano del “racconto”. Nel primo atto ben tre sono i racconti con cui Siegmund rievoca le sue avversità. Sieglinde, a sua volta, nel narrare di Wotan e della spada, innesca progressivamente uno sfogo lirico che sfocia nel grande duetto d’amore che occupa l’ultima parte del primo atto. I personaggi narrano, ma la musica si riferisce  oltre che ai “contenuti” di tali racconti  all’animo di chi narra e alle reazioni che la narrazione produce nell’animo di chi ascolta. Riferendosi a questa partecipazione emotiva, la vocalità si innalza immancabilmente dalle formule iniziali di recitativo-declamazione a grandi archi di melodia a piena voce. Verso il canto disteso convergono del resto, come segno di sofferta partecipazione, anche situazioni drammatiche più complesse del puro trasporto amoroso: si traduce in melodia la foga con cui Siegmund, conosciuta la propria sorte, esprime la volontà di uccidere Sieglinde e di morire con lei; si esprime in pura e grande melodia il tragitto psicologico con cui nel terzo atto Sieglinde trapassa dal desiderio di morte alla radiosa visione del futuro eroe che porta in seno, fino al quasi delirante sfogo lirico di ringraziamento a Brünnhilde. Le parole di questo vero culmine melodico dell’opera sono: “O hehrstes Wunder, herrliche Maid!” (o somma meraviglia, o vergine stupenda). Sono parole che il canto trascende mille volte, attribuendo al frammento melodico un livello simbolico così elevato da poter reggere  addirittura  la conclusione ultima di tutto il ciclo, al termine del Crepuscolo. Analogamente,  al canto spiegato che approda Brünnhilde quando decide di accorrere in soccorso a Siegmund, disubbidendo a Wotan. E un grande arco melodico  quello che avvolge Wotan e Brünnhilde abbracciati, dopo che il dio ha deciso di proteggere con il fuoco la figlia addormentata, in modo da preservarla per l’eroe futuro.
La soluzione melodica, quindi, scelta come più consona al nucleo romantico-amoroso del dramma, si rifrange anche sulle struttura narrative e persino sui momenti di riflessione concettuale, tutto investendo di un calore che  certamente tra le ragioni delle maggiore popolarità di quest’opera, anche di fronte a pubblici non-wagneriani.
Eppure La Valchiria non sacrifica alla vena melodica alcuna parte della complessità drammaturgica su cui Wagner stava edificando, in quegli anni, l’utopia di un teatro nazionale tedesco. L’edonismo latino poteva appagarsi, scena dopo scena, di quanto viene rappresentato e cantato. La profondità tedesca si rispecchia in una temporalità tridimensionale, che è resa possibile soprattutto dalla funzione svolta dall’orchestra, con le sue reminiscenze tematiche e con i suoi momenti di presagio e di precognizione. In La Valchiria l’orchestra ci riconduce incessantemente ai temi che, nell’opera precedente, L’oro del Reno,avevano illustrato la maledizione dell’oro, l’illusoria potenza del Walhalla, il corruccio di Wotan. Il futuro è, qui, solo radiosa speranza: il salvifico eroismo delle fanfare, dette “della spada” (che sarà della tromba, ma che la prima volta, come presagio, è affidata all’oboe) e “di Sigfrido”; la “redenzione”, che erompe al culmine del canto di Sieglinde, come prima dicevamo.
L’orchestra trascende non solo il presente scenico, ma anche gli angusti ambiti dello spazio scenico: con un grado di felicità inventiva raramente raggiunti da Wagner, si aprono all’immaginazione spazi lontani e immensi. E’ la componente fantastica della Valchiria, per la quale l’orchestra suggerisce le dimensioni delle nubi e delle tempeste, dei cieli e delle montagne. Nel Preludio al primo atto si accumulano, a successive ondate, spessori timbrici crescenti e si aprono squarci di orizzonte con le diverse fanfare, ora di corni, ora di tube, ora di trombe e tromboni: tempesta, inseguimento, agitazione terribile dell’animo. Nel secondo e nel terzo atto i grandi pannelli orchestrali si alternano ai momenti sentimentali e riflessivi e si riferiscono al mondo barbarico-eroico delle Valchirie; all’epico duello sulla montagna, alla tempesta che domina tutta la prima parte del terzo atto, nella quale si manifesta l’ira di Wotan contro Brünnhilde, ribelle al suo volere; all’elevarsi della barriera di fuoco sulla vetta del monte su cui giace Brünnhilde addormentata.
In tutti questi casi è enorme, appassionato, il dispiegamento di mezzi sonori: gli ostinati e i tremoli degli archi; gli squilli laceranti degli ottoni; e anche il violento erompere dello Stierhorn [corno di bue] di Hunding, della macchina del tuono, delle voci nel megafono, dei terribili colpi di lancia sulla roccia. Si moltiplicano i piani sonori, gli echi, le multiple risonanze in un’inedita consistenza polifonica. Concorrono qui tante esaltanti esperienze degli anni 1855 e 1856: la conoscenza dei Poemi sinfonici[Tondichtungen] di Liszt e del Benvenuto Cellini di Berlioz; la frequentazione assidua, come direttore d’orchestra in Zurigo e a Londra, delle Sinfonie di Beethoven. Ma ogni modello altrui appare come magnificato, sostanzialmente esasperato.
Per cogliere la grandiosa e felice complessità della Valchiria occorre ancora ricordare che nel momento della sua gestazione musicale è dall’ottobre del 1854 e per tutto il 1855  si collocano la lettura e la rilettura entusiastica del Mondo come volontà e rappresentazione [Die Welt als Wille und Vorstellung] di Schopenhauer. E’ certo che la concezione filosofica così racchiusa non comportò alcuna modifica al soggetto letterario della Valchiria. Del resto è ben noto che, ancor prima di terminare la stesura musicale dell’Oro del Reno [Das Rheingold], in una lettera del 25 gennaio 1854 all’amico August Röckel, incarcerato per aver partecipato assieme a lui ai moti del 1849 a Dresda, Wagner si era espresso in termini perfettamente “schopenhaueriani”. Egli aveva definito gli ex- rivoluzionari, come se stesso e Röckel, come appartenenti a un vecchio ordine destinato a scomparire. I rappresentanti del nuovo ordine saranno veramente nuovi se saranno liberi anche dagli insegnamenti del passato. La grandezza di Wotan consiste quindi nel volere ci  che  necessario, cio  il proprio “annientamento”, lasciando il posto a Sigfrido.
L’ “espressione estatica” che Wagner ritrovò con autentica esaltazione in Schopenhauer “ l”accettazione del dolore, la mortificazione della volontà di vivere  determinò in profondità la soluzione musicale dei grandi momenti che chiameremmo “concettuali” e “filosofici” di quel dramma.
Il segno dell’ “espressione estatica”sta nella macerata e tremenda immobilità all’apparire di Brünnhilde annunciatrice di morte a Siegmund che veglia su Sieglinde dormiente. Questo momento, che è ritenuto da molti commentatori tra i vertici drammatico-musicali di tutti i tempi, è davvero costruito attraverso i suoi silenzi. E i silenzi , forse solo loro  innalzano quell’annuncio di morte nelle sfere della più vertiginosa contemplazione della condizione umana. Non dissimile l’incontro, nell’atto seguente, tra Brünnhilde fuggitiva e Wotan adirato contro di lei. La soluzione musicale di quest’ira è singolarmente depotenziata rispetto alle parole del libretto e lascia il posto ben subito a una sorta di pietà immensa di Wotan verso se stesso e il proprio destino.
L’interesse filosofico diventava così per Wagner non tanto un’attitudine al dibattito delle idee  che pure lascia qualche traccia nel confronto tra Fricka e Wotan sulla legittimazione dell’incesto , quanto esperienza bruciante del negativo, del male, del dolore. La grandezza di Wagner fu aver trovato la via puramente musicale verso questa esperienza: rarefazione della grande fiumana sinfonica; timbri crepuscolari e bui come oscuri presagi; ritmi segmentati; dispersione del canto in frammentari lamenti.
Qui giunsero dunque a naufragio i programmi e gli schemi ideologici del rivoluzionario-redentore. L’opera fu segnata, piuttosto, dall’onda montante di tutti gli entusiasmi emotivi e intellettuali di quegli anni, che definiremmo ” almeno per quanto riguarda La Valchiria” gli anni della sua vera giovinezza.

Guido Salvetti