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Associazione Wagneriana

Baudelaire e Wagner (di Guido Salvetti)

estratto da Musica e poesia in Francia tra Otto e Novecento, Unicopli, Milano 1988)

Baudelaire dichiarò di esser stato “abbastanza maldisposto, e persino […] pieno di pregiudizi” nei confronti della musica di Wagner, prima di ascoltare i tre concerti al Thèatre des Italiens, il 25 gennaio, il 1° febbraio e l’8 febbraio 1860. Wagner vi diresse, nelle tre sere, un programma pressochè identico:

Dal Vaisseau fantôme: Ouverture
Dal Tannhuser:
Marcia e Coro dal II atto
Preludio al III atto
Coro dei pellegrini
Ouverture
Dal Tristan und Isolde:Preludio con finale da concerto
Dal Lohengrin:
Preludio all’atto I
Corteo nuziale Preludio all’atto III
Coro nuziale con finale da concerto

Nel secondo e nel terzo concerto aggiunse, dal III atto del Tannhuser, il Lied di Wolfram alla stella della sera.
All’impressione ricevuta dall’ascolto di questi concerti si riferisce la lettera che Baudelaire scrisse a Wagner il 17 febbraio 1860: “Non voglio essere confuso con questa pletora di imbecilli”, con coloro che scrivono “articoli indegni, e ridicoli, che si danno da fare in mille maniere per diffamare il vostro genio”. C’è subito il senso di una battaglia comune contro nemici volgari.
Il contenuto della lettera  una prima chiave per comprendere le ragioni del rapporto tra Baudelaire e Wagner. Baudelaire ebbe l’impressione di conoscere già quella musica, perchè quella – disse – era la “sua” musica; era l’idea intimamente accarezzata di una possibile musica. In modo analogo Wagner aveva riconosciuto Schopenhauer: quella era stata – ancor prima di leggerla nel Mondo come volontà e rappresentazione – la “sua” visione del mondo.
Inoltre Baudelaire giudicò quella musica secondo categorie wagneriane, usando concetti che Wagner avrebbe esposto con tanta chiarezza soltanto dieci anni dopo, nel saggio Beethoven del 1870. Ritroviamo in Baudelaire quasi le stesse parole che verranno usate da Wagner per indicare la profondità dell’animo e della musica tedesca: “Qualcosa di elevato e che eleva”. Baudelaire insiste però, più di quanto avesse fatto e avrebbe fatto Wagner, sul “parossismo”, sull”‘eccesso”, sulla “straordinarietà” di quella musica sublime. Nel suo linguaggio, poi, il poeta usa con grande abbondanza metafore visive e coloristiche, che non furono mai nello stile del musicista.
Antonio Prete cita una poesia delle Fleurs du mal: La Musique. La poesia fa parte già della versione del 1857, e quindi precede l’esperienza wagneriana di Baudelaire. Il godimento dell’ascolto musicale vi è descritto come un’immersione totale e sensuale in una prospettiva grandiosa: “come se” un vascello che solca le grandi onde del mare potesse sentire il contatto con l’acqua e con il vento. Nel 1857 il poeta poteva riferirsi a esperienze provate nell’ascolto – per sua indicazione – di Beethoven e di Weber. Era quindi una musica a lungo sognata, quella che, nei concerti wagneriani del 1860, gli apparve finalmente viva e reale.
Tra i concerti del gennaio-febbraio del 1860 e la rappresentazione del Tannhuser all’Opèra nel marzo del 1861, Baudelaire si dedicò a non poche letture wagneriane: “Decisi di trasformare la mia voluttà in conoscenza, prima che una rappresentazione scenica venisse ad offrirmi una spiegazione perfetta”. Lesse, in particolare, Opera e Dramma nella traduzione inglese del Bridgeman, e la Lettre sur la musique, che Wagner aveva dedicato a Mr.Villot, e che era stata preposta alla pubblicazione dei libretti del Tannhuser, del Vascello fantasma, del Lohengrin e del Tristano. Fu da queste letture che Baudelaire trasse la convinzione di una stretta affinità tra l’estetica wagneriana e la propria dottrina delle correspondances.
E infatti, quando, a seguito della “prima” del Tannhuser, scrisse il suo ampio saggio Wagner, vi inserì – completo e testuale – quello che sarebbe divenuto il suo più famoso Sonetto. Non potè sfuggirgli la notevole differenza tra quel suo testo poetico, dove “profumi, colori, suoni si rispondono”, ma in una “tenebrosa unità”, e la prosa wagneriana tutta improntata all’idea di “chiarezza”: prosa wagneriana che, citata ampiamente tra virgolette con brani tolti dalla Lettre sur la musique e dalla lettera a Berlioz, pubblicata nel febbraio 1860 sul Journal des débats, viene inquadrata dallo stesso Baudelaire in una temperie culturale di tipo “classico”, grecizzante, addirittura.
Lasciamo agli esegeti baudelairiani la riflessione di quanto decisivo sia, per il décadent sprofondato nella demoniaca voluttà dell’intrico misterioso delle sensazioni, questo sfondo classicista su cui si staglia il mito della Bellezza! La differenza nei confronti di Wagner, che Baudelaire non può non aver avvertito, può avere allora un preciso significato: Wagner, anzichè essere un fratello nell’angoscia, assurgeva per Baudelaire a mito positivo, a uno dei limpidi cieli verso i quali il poeta guardava come a un’impossibile pace.
Un diretto confronto tra il poeta e il musicista avveniva anche su un altro terreno: l’opposizione con il volgo sciocco, fin troppo facilmente identificabile con i critici malevoli (Fôtis, autore di un “indigesto e orrendo libello”), con i debosciati del Jockey Club, autori dell’indegna gazzarra contro il Tannhuser a suon di fischietti e di urlacci.
Ma non doveva sfuggire all’intelligenza di Baudelaire che la solitudine, lo sradicamento, assumevano per lui un valore assoluto, mentre per Wagner (il Wagner di Oper und Drama!) la prospettiva redentrice e rigeneratrice aveva come orizzonte un’umanità da redimere e da rigenerare, aldilà delle difficoltà contingenti. Solo di fronte all’insuccesso del Tannhuser, Baudelaire sa assumere le vesti di Wagner e proclama che non “si è mai letto che le grandi contese si perdono in una sola partita”.
Anche il concetto di “Bellezza”, per il quale è stato possibile che alcuni definissero Baudelaire un “parnassiano”, non fa parte dell’orizzonte linguistico e concettuale di Wagner: il concetto di Bellezza avrebbe significato per lui, tanto o poco, una separazione tra arte e vita, tra artista e umanità; la tensione wagneriana verso una palingenesi universale esibisce valori morali molto più che valori estetici.
Non pochi e non marginali, quindi, le differenze di poetica tra i due. Eppure Baudelaire trovò la via per ammirare ed amare ciò che per tanti motivi era diverso da lui. Nel saggio su Wagner, che Baudelaire ci dice scritto di getto, in tre giorni, si infittiscono le affinità elettive quanto più l’osservazione scende nello specifico dell’esperienza artistica: con i poemi letterari wagneriani; con la musica, anche se parzialmente.
Ma forse il giudizio di Baudelaire riesce spesso ad individuare una zona in cui musica e poesia non possono essere scisse: oggi parleremmo di “drammaturgia musicale”. Si legga un giudizio riguardante i drammi letterari del Tannhuser e del Vascello fantasma, dove Baudelaire ammirava “un metodo di costruzione straordinario, un senso della struttura ordinata che ricorda l’architettura della tragedia greca”. Ne è puro valore letterario quello che Baudelaire sottolinea con grande enfasi: quelle opere hanno la possibilità di elevarsi a valori universali, perchè la musica imprime a quelle vicende il clima di leggenda, il valore mitico, in cui ognuno può rintracciare le proprie radici. La sentenza, a questo proposito, è preziosamente illuminante: “Si è trattato d’una presa di posizione d’ordine formale maturata nello studio delle condizioni più appropriate per il dramma lirico”.
L’adesione ideologica ai contenuti morali delle tre opere si rivela immediatamente come adesione estetica. Nel Tannhuser egli ritrova la sostanza stessa delle Fleurs du mal, la lotta della carne con lo spirito; ma ciò che conta davvero è l’energia con cui il linguaggio musicale scava al fondo di questa opposizione (“Da quali profondità il maestro ha attinto questo tumultuoso canto della carne?”).
Così nel Lohengrin egli vede sviluppato soprattutto l’altro estremo. Baudelaire ha letto la presentazione che, del Preludio, hanno fatto Liszt e Wagner stesso. Egli aggiunge le proprie impressioni, e si stupisce – dall’analisi comparativa delle metafore – di ritrovarvi la stessa sostanza. Quell’opera, i cui contenuti sono miracolosamente concentrati nel Preludio, offre “la sensazione dello spazio dilatato fino agli estremi confini che l’immaginazione può concepire”. E il tema della redenzione è indicato come la sostanza letterario-musicale del Vascello fantasma. Indimenticabile l’annotazione relativa all’Ouverture: “E’ lugubre e profonda come l’Oceano, il vento e le tenebre”.
Le prospettive della musica sono quindi quelle dell’indicibile; l’eccesso e l’incontenibile sono le categorie del linguaggio musicale. In questo ambito l’esperienza wagneriana di Baudelaire è singolarmente attenta ad un solo carattere specifico del linguaggio musicale di queste opere: quello dei temi ricorrenti, i quali – con il loro ricorrere – “avevano sedotto in pieno il mio ascolto”. E appena il caso di ricordare quante profonde assonanze e mutevolezze di significato Baudelaire ottenga nelle Fleurs du mal con la rete fitta di ripetizioni, di versi interi, di strofe, di costrutti. Il procedimento musicale assume per lui una valenza simbolista che lo affascina e lo inquieta nello stesso tempo.
Da tutto ciò non è difficile rilevare come, nell’approccio wagneriano, Baudelaire abbia evidenziato motivi e temi, addirittura tecniche, che gli appartenevano già in qualità di poeta. Questo suo riconoscersi in Wagner non è però naturalmente un conoscere Wagner nei termini specifici di quelle opere di cui Baudelaire discute nel suo saggio. Non è forse così vero, per noi, che le tre opere di cui egli parla sono così caratterizzate dall’eccesso, dall’abisso, dalla profondità infernale e dalla sublimità paradisiaca.
Ma, nel rilevare questi aspetti, nel rivendicare la grandezza di Wagner nei grandi temi del decadentismo che con lui raggiungeva la prima altissima vetta, Baudelaire consegnava alla cultura francese dei tre decenni successivi un modo di intendere Wagner che non verrà mai più messo in discussione. E che troverà conferma nello stesso Wagner, dal Tristano (di cui stranamente nel saggio del 1861 quasi non parla) al Parsifal: ma Baudelaire già conosce questo Wagner, tanto in profondità aveva ritrovato in lui la “sua” musica.